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Fino a quando un genitore e' tenuto a mantenere un figlio maggiorenne?

3/3/2014

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Per il nostro ordinamento, un genitore e' obbligato a mantenere un figlio anche se divenuto maggiorenne finché lo stesso non abbia raggiunto una indipendenza economica.

Questo significa che se un figlio decide di intraprendere gli studi universitari o non ha ancora trovato un'occupazione i genitori sono tenuti a provvedere al suo mantenimento.

Per evitare però che il figlio maggiorenne utilizzi questa situazione in maniera opportunistica, gravando sulle finanze dei genitori, la Cassazione e' intervenuta a fare chiarezza con alcuni provvedimenti.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23590 del 22 novembre 2010, ha affermato l'esclusione dell'obbligo del genitore separato al mantenimento del figlio maggiorenne che, sebbene non autosufficiente economicamente, ha in passato iniziato ad espletare un'attività lavorativa a tempo determinato. 

Ancora, con la sentenza n. 27377 del 06.12.2013, la Cassazione ha stabilito che: "il figlio ultratrentenne non ha più diritto all'assegno di mantenimento se è in possesso di un patrimonio tale da potergli garantire un'autosufficienza economica".
Inoltre, la Suprema Corte, con l'ordinanza n. 1585/2014, ha chiarito che: "se il figlio ha uno scarso rendimento negli studi universitari e comunque con lavoretti occasionali riesce a raggiungere una certa indipendenza, il padre può essere liberato dall'obbligo del mantenimento". 

Molto interessante e' anche il contenuto di un decreto del Tribunale di Milano dell'11 aprile 2013.
Il Tribunale ha riconosciuto ad un padre la revoca dell'assegno di mantenimento in favore del figlio perché lo stesso aveva ventiquattro anni, da sei anni aveva abbandonato gli studi, non si era dedicato al reperimento di una stabile occupazione lavorativa ed,infine, conviveva stabilmente con la sua compagna. 

Dunque, in questo caso specifico la revoca dell'assegno e' stata giustificata non solo perché il ragazzo volontariamente non si era attivato a reperire un'attività lavorativa ma anche perché andando a convivere con la propria fidanzata aveva di fatto dato vita ad un nuovo nucleo familiare staccandosi dalla famiglia di origine.

In conclusione:
Un genitore può chiedere la revoca dell'assegno di mantenimento in favore del figlio tutte le volte in cui lo stesso sia iscritto all'università ma con scarso rendimento (ad esempio pochi esami in tanti anni) oppure pur avendo opportunità di lavoro le rifiuti; un figlio che si comporta in tal modo utilizza il mantenimento del genitore in maniera opportunistica e parassitaria, di conseguenza non ha alcun diritto ad essere mantenuto.
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Modalità di visita dei figli: chi decide?

24/2/2014

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Quando una coppia si separa senza riuscire a trovare un accordo sulle modalità di frequentazione dei figli, spetta al giudice stabilire una regolamentazione minima degli incontri: vediamo in che misura.

Una delle questioni più spinose che si pone in una separazione matrimoniale è spesso costituita dalla decisione su tempi e modi con cui il genitore non convivente con la prole (di solito il padre) dovrà frequentare i figli.

Infatti, se è noto che, di regola, la prole è affidata in modo congiunto ai genitori [1] (salvo gravi motivi che giustifichino l’affido esclusivo), è anche vero che il bambino, di fatto, dovrà vivere in modo prevalente con uno solo di loro (in genere la madre).

A chi spetterà, allora, decidere quando e come il bambino dovrà trascorrere il suo tempo col genitore che non abiti stabilmente con loro?

La soluzione più auspicabile, che rappresenta anche la regola generale, è quella che debbano essere i genitori a concordare i tempi e modalità di tali incontri.

A questo scopo potrà essere di grosso aiuto alla coppia raggiungere l’accordo di separazione dopo aver seguito un percorso di mediazione familiare o di diritto collaborativo: ciò in quanto, in tal modo, gli accordi sono presi con maggiore consapevolezza dei reciproci bisogni e sono destinati anche a durare nel tempo, senza che le parti  in seguito si rivolgano al Tribunale per modificarli.

Ma cosa accade quando la coppia proprio non riesce a collaborare?

Una sentenza della Corte d’appello di Catania [2] ha precisato come, in tal caso, debba essere il giudice a decidere sugli incontri. Egli potrà tuttavia stabilire solo una “cornice minima” dei tempi di permanenza, valutando una serie di fattori come:

- il tipo di relazione familiare che il genitore non convivente ha con i propri figli, non essendo essa caratterizzata dalla abitudinarietà di determinati comportamenti (come, ad esempio, il mangiare e il dormire);

- la necessità che i figli trascorrano dei tempi adeguati a consentire un rapporto continuativo con il genitore non convivente (ad esempio, gli interi fine settimana o tempi infrasettimanali) senza che, tuttavia, ciò comporti una interferenza con l’ordinaria organizzazione di vita domestica con l’altro genitore.

Ad esempio, il giudice può prevedere che il genitore non convivente debba trascorrere col bambino almeno due giornate a settimana e determinati periodi festivi, ma non potrà indicare nel dettaglio i giorni e le esatte modalità degli incontri, che vanno comunque demandate al buon senso dei genitori e alla capacità di anteporre l’interesse dei bambini a quelli personali e al conflitto giudiziario.

In questo senso, precisa la sentenza, dovere del genitore è saper interpretare in modo responsabile eventuali “segni di disagio” dei figli e quindi, per esempio, riportarli dall’altro genitore, se durante la notte non riescono ad addormentarsi senza la presenza di quest’ultimo.

In ogni caso, sottolinea la Corte, quanto specificato dal giudice non va mai letto come una limitazione dei tempi di permanenza con l’altro genitore; una limitazione, infatti, può essere disposta dal magistrato (ad esempio, prevedendo che genitore e figlio si incontrino solo presso i servizi sociali) solo se vi sia prova che dalla libera frequentazione delle parti possa derivare un danno al minore (si pensi al caso in cui il bambino si mostri turbato all’idea di incontrare da solo il genitore a causa di episodi di violenza cui abbia assistito in passato).

IN PRATICA 
Dopo la separazione, sono i genitori a doversi accordare sui tempi e le modalità di permanenza dei figli con ciascuno di loro. Solo in mancanza di un accordo, tale decisione spetta al giudice, il quale dovrà stabilire una regolamentazione minima degli incontri, senza limitare il diritto di genitori e figli a frequentarsi in modo continuativo.

[1] L’art. 155 cod. civ., come modificato dalla L.54/06 prevede che “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi….
Il giudice… valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore… Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori.


Fonte: http://www.laleggepertutti.it/47425_modalita-di-visita-dei-figli-chi-decide

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I nuovi diritti dei nonni

16/9/2013

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Più tutela e garanzie per i nonni, che, grazie alla riforma, potranno vantare – e far valere in giudizio – il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti, ferma la valutazione sulla compatibilità delle loro richieste, con il superiore interesse del minore. Difatti, il codice civile [2] dispone oggi che “gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”.

Non solo. Il nonno, paterno o materno, cui sia impedito l’esercizio di tale diritto, potrà ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del nipote, al fine di ottenere l’emissione dei provvedimenti più idonei per soddisfare le esigenze dei minori, quali il diritto a conservare e mantenere rapporti significativi con gli ascendenti.

I nonni entrano così tra i soggetti legittimati dalla legge a far valere, innanzi ad un’aula di tribunale, i propri diritti nei confronti del minore. Perché se è vero che la legge ha così voluto istituire una sorta di diritto ad avere un nipote, dall’altro lato – e forse a maggior ragione – ha creato le basi al diritto dei minori ad avere un nonno.

[1] Legge n. 219/12.

[2] Nuovo articolo 317 bis cod. civ.

Fonte:http://www.laleggepertutti.it/34823_i-diritti-del-nonno-nella-riforma-del-diritto-di-famiglia


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Separazione, come cambia l'assegno di mantenimento se mutano le condizione economiche

4/6/2013

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Separazione e assegno dio mantenimentoSeparazione e assegno di mantenimento.
Riduzione del mantenimento alla ex quando cambiano le condizioni economiche la Cassazione sancisce il principio della riducibilità del mantenimento stabilito dal Giudice della separazione, laddove siano mutate le reciproche condizioni economiche degli ex coniugi.
Allo stesso tempo, ribadisce l'obbligo del genitore al mantenimento del figlio maggiorenne libero da impegni scolastici e inoccupato non per sua colpa.
Nel caso affrontato, il ricorrente faceva valere in Appello - senza ottenere soddisfazione - l'avvenuta riduzione del suo reddito a seguito di pensionamento per motivi di salute, e il contemporaneo incremento del reddito dell'ex moglie che aveva nel frattempo trovato un impiego stabile e ricavato denaro dalla vendita di un terreno e dalla locazione di una casa di sua proprietà.
Chiedeva altresì, sempre senza successo, un ridimensionamento dell'obbligo contributivo nei confronti del figlio, il quale, a suo dire, aveva ingiustificatamente rifiutato un'opportunità di lavoro regolare, che gli avrebbe permesso di autosostentarsi.

Nel giudizio di legittimità la Corte modifica la sentenza dei Giudici di Secondo Grado relativamente alla mancata revisione dei rapporti economici fra gli ex coniugi, rinviando al giudizio di merito anche la determinazione della somma dovuto dall'ex marito. 

Per il resto conferma l'obbligo paterno di contribuire al sostentamento del figlio maggiorenne incapace di mantenersi da solo, il quale aveva dichiarato ai Giudici dell'Appello di aver rifiutato non già un'offerta di lavoro stabile, ma un posto di barista stagionale, che non avrebbe certo potuto garantirgli l'autonomia economica.

Fonte: Cassazione: Riduzione del mantenimento alla ex quando cambiano le condizioni economiche 
(StudioCataldi.it)


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Assegni per il nucleo familiare in caso di separazione o divorzio

10/4/2013

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In caso di separazione o divorzio, il genitore affidatario dei figli che non lavora può chiedere gli assegni per il nucleo familiare a suo nome, ma sulla posizione, tutelata, dell’ex marito.

Il genitore separato o divorziato, che non lavora e intende richiedere l’assegno per il nucleo familiare quale genitore affidatario, sulla posizione dell’altro genitore [1], deve presentare direttamente la domanda di prestazione che, se inoltrata al datore di lavoro, deve essere corredata dal modello di autorizzazione rilasciato dall’Inps.

In base a quanto previsto da una circolare dell’Istituto di Previdenza Nazionale [2], il riconoscimento del diritto all’assegno per il nucleo familiare snelle situazioni di separazione legale o di divorzio va definito secondo quanto segue.

Il nucleo è costituito dall’affidatario e dai figli affidati e il reddito familiare è quello corrispondente a tale composizione.

Naturalmente, l’assegno non potrà essere percepito ove non si realizzino le condizioni previste dalla legge, e in particolare quella che prevede che il totale dei redditi da lavoro dipendente e/o equiparato sia almeno pari alla percentuale del 70% del reddito familiare complessivo [3].

Quando invece il coniuge affidatario vive con i nonni, caso molto frequente in tempi di crisi economica, si può richiedere all'inps gli assegni familiari sulla posizione dei nonni e finanche dei bisnonni. 
[1] Ai sensi dell’art. 211 della L. 151/1975.
[2] Inps, circolare n. 48/1992.
[3] A cura di Fabio Venanzi.
Fonte: http://www.laleggepertutti.it

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Lui paga l’affitto e a lei alleggeriscono l’assegno di mantenimento

20/3/2013

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Secondo la Corte di Cassazione, sentenza n. 22950/12, se il coniuge obbligato alla corresponsione dell’assegno di mantenimento lascia la casa coniugale ed è costretto a pagarsi l’affitto, sì può operare una riduzione dell'assegno che l'ex marito deve pagare.
Il caso: dopo 43 anni di matrimonio, segue il divorzio e il relativo assegno di mantenimento che lui deve corrispondere all’ex moglie: 670 euro, secondo il Tribunale.
Di diverso avviso, invece, i giudici di secondo grado, che riducono l’importo dell’assegno di mantenimento a 250 euro mensili (annualmente rivalutabili).

La donna lamenta un errato apprezzamento da parte dei giudici dell'appello, i quali avevano deciso per la riduzione valutando la consistenza del reddito della donna, la diminuzione del reddito del marito e l’omessa considerazione della comproprietà della casa coniugale.
Invece la Corte Suprema ritiene corretta la decisione dei colleghi della corte di appello, precisando che, nel caso in esame, l’uomo aveva lasciato la casa coniugale alla ex consorte, andando a vivere in un appartamento in affitto.
Insomma, gli oneri derivanti dalla locazione di un nuovo alloggio hanno giustificato la riduzione dell’assegno di mantenimento nei confronti della donna.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it 


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Risarcito il coniuge separato a seguito della morte dell'ex consorte

18/1/2013

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La Corte di cassazione con sentenza n. 1025/2013, ha stabilito che se tra due ex coniugi separati continua a sussistere un forte legame affettivo, magari rafforzato dalla presenza di uno o più figli, ed uno dei due muore, a causa di un sinistro stradale, l'ex coniuge (vivente) può chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, che deriva dalla sofferenza a seguito di un evento doloroso.

E' necessario dare la prova della sussistenza del forte legame affettivo tra i due ex coniugi, come lo stato d'animo che normalmente si subisce per effetto della perdita di un congiunto.
La misura del risarcimento, dato comunque che il matrimonio era già sciolto, è ridotta rispetto a quello che spetterebbe tra persone sposate.

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Separazione e divorzio. Differenza tra Alimenti e Mantenimento

9/1/2013

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Se moglie e marito si separano, alle pressoché immancabili ripercussioni sentimentali e psicologiche, soprattutto a danno dei figli qualora vi siano, si aggiungono più o meno complessi e gravi problemi di natura economica: assegnazione della casa familiare all’uno o all’altro coniuge, spartizione del patrimonio immobiliare e mobiliare, quantificazione dell’assegno di mantenimento da porre a carico del coniuge economicamente più forte, e assegno di mantenimento per i figli.

Quando poi, trascorso il periodo di legge (tre anni dalla comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale per la procedura di separazione), si passa dalla separazione al divorzio, si ripropone in questa sede il problema del mantenimento del coniuge più debole e degli eventuali figli.
Prima di addentrarci nella materia, però, è opportuno chiarire la differenza fra due istituti giuridici fra loro simili ma quantitativamente diversi: quello di alimenti e quello di mantenimento.

Gli alimenti
Gli alimenti (art. 433 del codice civile) si fondano sul vincolo di solidarietà che lega, o almeno dovrebbe legare, le persone fra le quali corre taluno dei rapporti indicati dalla legge: per esempio coniugio, parentela e affinità entro certi gradi.
Qualora si verifichi lo stato di bisogno dell’avente diritto (si deve trattare di persona compresa fra quelle indicate dalla legge e comunque non in grado di provvedere a se stessa), l’obbligato – o, se vi sono più obbligati, ciascuno in proporzione alle proprie sostanze – può scegliere fra il corrispondere all’alimentando un assegno a questo titolo, oppure accoglierlo e mantenerlo nella propria casa.
L’obbligo di somministrare gli alimenti viene meno, fra l’altro, se muore l’obbligato o se cessa lo stato di bisogno dell’avente diritto.

Il diritto agli alimenti ha natura patrimoniale (ossia ha un contenuto economicamente valutabile), ma a differenza degli altri diritti patrimoniali non è cedibile, essendo intimamente connesso, come già detto, allo stato di bisogno del titolare.

Il mantenimento
Concetto più ampio di alimenti è quello di mantenimento, consistente non nel somministrare all’avente diritto di che vivere, ma nell’assicurargli un tenore di vita proporzionato alla propria condizione economica; rientrano così nel concetto, per esempio, l’abbigliamento, l’istruzione, i mezzi di trasporto e di comunicazione (Cassazione 11/12/2008, n. n. 45809).

Di regola in sede di separazione o di divorzio quello che rileva è il mantenimento; al coniuge, però, cui sia addebitabile la separazione e che versi in stato di bisogno, spettano soltanto gli alimenti.

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Separazione e Imu, deve pagare l'assegnatario

12/12/2012

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Coniugi separati, Imu. 
Se nella sentenza di separazione il giudice stabilisce che uno dei due coniugi ha il diritto di abitazione sulla ex casa coniugale, chi ne gode deve pagare l'Imu per intero, senza sconti.
La regola vale addirittura anche se il coniuge che resta nell'alloggio non ha nessuna quota di proprietà dell'abitazione.

Con la vecchia Ici, invece, era diverso, attenti a non sbagliare. Con l'introduzione dell'Imu è stato fatto un decreto legge apposito che regola i rapporti per le coppie separate. Anche una circolare dell'Agenzia dell'Entrate conferma che l'odiata imposta spetta al coniuge che abita nella casa familiare.


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Le 10 regole per "litigare bene" utili nella separazione e nel divorzio

7/12/2012

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Secondo lo psicologo americano John Gottman, esperto in relazioni di coppia, esistono 10 regole per "litigare bene". Possono essere utili anche a chi si appresta a separarsi o a divorziare.

  1. Parlare a lungo e civilmente     Comunicare al partner i propri sentimenti e le proprie sensazioni senza colpevolizzarlo, in senso assoluto, di essere il fautore (ad esempio: è meglio "Mi sento triste quando fai o dici..." piuttosto che "Tu mi fai sentire triste quando fai o dici...").
  2. Non assumere un atteggiamento difensivo     I comportamenti di difesa sono più comuni negli uomini.
  3. Non aggredire il partner alzando i toni di voce (più comune nelle donne) "Urlare la rabbia" non serve , non pone dalle parte della ragione e soprattutto non risolve il problema. La comunicazione si deve sempre mantenere mantenere nei toni della pacatezza e della distensione.
  4. Evitare frasi pungenti o pignole     Colpire deliberatamente l'altro con frasi irritanti offende la sua sensibilità, portandolo alla chiusura e alla difesa, e a volte ciò che si dice non può essere ritrattato, compromettendo la relazione.
  5. Cercare di chiudere il conflitto     Le tregue non sono certamente rimedi o soluzioni, ma poiché litigare stanca, a volte è necessario "smorzare" i toni della contestazione cambiando argomento, usando lo humor o decidendo di attendere qualche minuto per recuperare la calma e affrontare in seguito il problema.
  6. Evitare di litigare la domenica     Meglio il sabato, così vi è più tempo per discutere nuovamente di ciò che ha condotto alla discussione, e trovare il modo di riappacificarsi.
  7. Manifestare l'affetto     Sono utili a questo scopo anche gesti quotidiani o semplici: un abbraccio, cucinare insieme.
  8. Evitare di addormentarsi tranquillamente dopo una lite furiosa     (più comune agli uomini). Ciò, che ha condotto al conflitto l'indomani sarà nuovamente presente, e sopratutto l'altro partner troverà frustrante tale comportamento, considerandolo una mancanza di interesse e di attenzione.
  9. Ricordarsi che il problema è di coppia, non di uno solo     E' nell'avere un differente "punto di vista" che nasce la contestazione, ma magari è stato proprio questo che ci ha attratto all'inizio.
  10. Avere il coraggio di riconoscere i propri errori e chiedere scusa al partner     è anche segno di intelligenza.
John Gottman, psicologo, è specializzato in consulenza matrimoniale e in psicologia dello sviluppo. Insegna all’Università di Washington. Tra gli innumerevoli libri ha pubblicato anche in Italia "Intelligenza emotiva per la coppia.

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